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Full text of "Ombre e Luci n.155 - 2021"

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N. 155 - Luglio/Settembre 2021 


Ombre. LUC 


RIVISTA CRISTIANA DELLE FAMIGLIE E DEGLI AMICLDERERSONE FRAGILI E CON DISABILITÀ 


i ff: 
‘AVOrO 


"IN CAMMINO.DA NORDA suD 
CAN 
v | 


3/2021 


20 


Sogni per niente speciali 
di Cristina Tersigni 


DIALOGO APERTO 


INTERVISTA 
Quarantadue chilometri 
tra Bellizzi e New York 
di Enrica Riera 


Quel regalo immenso 
chiamato vaccino 
di Isabella Corsini 


Mi sento grande 
di Silvia Freschi 


Dietro le quinte di un'assunzione 
di Cristina Tersigni 


Diario di Efrem lavoratore 
di Efrem Sardella 


DALL’ARCHIVIO 
Per un lavoro umano 
di Maria Teresa Cabras 


ASSOCIAZIONI 
Stasera milonga? 
di Cristina Tersigni 


FEDE E LUCE 
Un fiume lungo quanto il Mediterraneo 
di Liliana Ghiringhelli 


SPETTACOLI 
Sentire la fine del mondo 
di Claudio Cinus 


LIBRI 


Perché il mare non è sempre lo stesso? 
di Benedetta Mattei 


Visita a Roccamonfina 
di Giovanni Grossi 


In copertina: 

Silvia Freschi a lavoro (foto scattata prima della pandemia) 
In IV di copertina: SteReal, “Tradizioni” per Gulìia Urbana 
(Bianchi 2021, foto lacopo Munno) 


\_ i EDITORIALE 


Sogni 


per niente speciali 


di Cristina Tersigni 


n fornaio entra dal bar- 

biere e vede un nuovo 

assunto tra i collab- 
oratori: si chiama Paul ehala 
sindrome di Down. Il fornaio fa 
un mezzo sorriso soddisfatto ma 
non immagina che il ragazzo sia 
lì proprio grazie a lui. È la scena 
finale di una pubblicità per la 
sensibilizzazione delle aziende (e 
dei loro potenziali clienti) all’in- 
clusione lavorativa delle persone 
con disabilità intellettiva: quel 
fornaio, infatti, aveva innescato 
una virtuosa catena assumendo 
Simone come commessa nel suo 
negozio, anche lei con la sindrome 
di Down. Tra i due, gli altri anelli 
della catena erano stati un'av- 
vocatessa, un dentista e un’agri- 
coltrice, ognuno dei quali, visto il 
precedente, aveva assunto rispet- 
tivamenteJohn, Sophia e Kate, 
tutti con disabilità. Sarebbe dav- 
vero bello veder concretizzato il 
sogno di tante e tanti giovani con 
disabilità intellettive così come lo 
vediamo narrato e auspicato nella 
trama dell'ultima delle campagne 
comunicative, di gran pregio e 
cura, ideate da Coordown in ques- 
ti anni. La pubblicità, dal respiro 
internazionale e denominata The 
Hiring Chain (“La catena di assun- 
zioni” visibile su http://www. 


hiringchain.org/) racconta proprio 
di un sogno per niente speciale, 
come spesso lasciamo che venga- 
no invece definite le persone con 
disabilità. È un sogno di normalità 
piena che spetta a ciascun essere 
umano per il quale sia possibile 
esercitarlo. Non a caso è uno degli 
obiettivi esplicitamente inclusivi 
nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo 
Sostenibile delineata dall'Onu. 
Certo non è scontato, come le sto- 
rie raccontate in questo numero 
dimostrano. Scriveva Mariangela 
Bertolini anni fa chele persone 
con lievi disabilità intellettive — 
anche quelle che difficilmente 
vengono riconosciute tali, come 
invece avviene per la sindrome di 
Down - «hanno bisogno di trovare 
luoghi rassicuranti dove interlo- 
cutori, attenti alle loro difficoltà 
nascoste, manifestino nei loro 
confronti fiducia (...). Che li aiutino 
a progredire (...), che si facciano in- 
terpreti dei loro desideri, aiutandoli 
a scoprire quali possono realizza- 
re», Non sono certo condizioni da 
poco ma, dove si riescano a real- 
izzare (ed è possibile), dimostrano 
non solo capacità di accoglienza e 
sensibilità, ma soprattutto grande 
intelligenza. Rafforzando il tessu- 
to umano della stessa azienda e 
dell’intera comunità. OL 


Ombre e Luci 155 


3 


\) DIALOGO APERTO 


Una nuova reporter! 


iao, sono Valentina Montanari sorella ge- 
mella di Francesca. Per me oggi pomerig- 


gio è stato un pomeriggio bellissimo, ho ri- 
visto gli amici di Fede e Luce! Sono stati due giorni 
bellissimi sia ieri con l'inaugurazione della barca 
che oggi (vedi pag. 24). Ma oggi pomeriggio è sta- 
to un momento molto importante e molto emo- 
zionante perché sono stata scelta come reporter 
di Fede e Luce. Mi hanno consegnato il tesserino 
con il mio nome e la mia foto con la scritta “Re- 
porter Fede e Luce Mondovì” e per me è un grande 
onore visto che è dal 2002 all'incirca che faccio 
parte della comunità. Adesso sono molto felice 
e orgogliosa per questo incarico che ho ricevuto. 
Spero che il covid passi in fretta per poter riab- 
bracciare tutti gli amici di Fede e Luce. 


Valentina Montanari 


Disegni CarrozzAbili 


e Sicomoro di Fidenza di recente hanno 

vissuto un tempo di fragilità e difficoltà. 
Fortunatamente però abbiamo potuto gioire e 
congratularci con il nostro amico pittore Ales- 
sandro, che grazie al Centro ANFASS Onlus di 
Massa Carrara, che frequenta giornalmen- 
te, ha potuto partecipare alla Manifestazione 
“CarrozzAbile”. Questo evento ha luogo an- 
nualmente a Marina di Carrara ed ha lo scopo 
di invitare tutti, in particolare gli alunni delle 
scuole, a sedersi su una carrozzella, per speri- 
mentare i problemi, gli ostacoli, le tante bar- 
riere architettoniche con le quali si scontrano 
quotidianamente le persone con difficoltà di 
movimento. Purtroppo quest'anno, a causa del 
COVID la “CarrozzAbile”, ha dovuto cambiare 
formula. Gli alunni delle scuole sono stati invitati a partecipare con un testo scritto o un elaborato 
grafico sul tema delle barriere architettoniche. Gli operatori del Centro ANFASS hanno chiesto ad 
Alessandro se desiderava partecipare all'iniziativa, e lui ha subito accolto l'invito. Il nostro pittore 
si è ispirato ad un suo amico, che frequenta lo stesso Centro, ha disegnato una sedia speciale e colo- 
rata che lo aiuti a muoversi con più facilità e allo stesso tempo che permettesse alla sua educatrice 
di poterlo aiutare con meno fatica. Inoltre la sedia è così speciale che ha il potere di far sorridere e 
rendere felice il suo “inquilino”. Il disegno è stato esposto, insieme a tutti quelli degli alunni delle 
scuole presso un Centro commerciale della provincia. Così Alessandro ha potuto ottenere tante 
soddisfazioni e le meritate gratificazioni... e noi insieme a lui! 


C ara redazione, le comunità Condivisione 


Silvia Tamberi 


4 Ombre e Luci 155 


di Enrica Riera 


è taten Island, Brooklyn, Que- 

a, ens, Manhattan, Bronx: sono 

” cinque i distretti di New York 
da dover attraversare per vince- 
re la maratona più partecipata al 
mondo, tra le corse maggiormente 
importanti degli Stati Uniti. È que- 
sto il sogno dei due fratelli Leo che 
ogni giorno, a Bellizzi (Salerno), si 
allenano per farlo diventare realtà. 
Dario, 38 anni, è infatti pronto a 


spingere la carrozzella su cui Fran- 
co, 52, gareggerà alla cinquante- 
sima edizione della competizione 
newyorkese, il 7 novembre prossi- 
mo, dimostrando a tutti che «se lo 
vuoi, puoi farlo». 


«A mio fratello Franco, che da 
quando è nato convive con la tetra- 
paresi spastica, gli oltre 42 chilome- 
tri da percorrere, secondo l’itinera- 
rio previsto dalla gara, non fanno 


Ombre e Luci 155 


6 


paura - spiega Dario Leo —. Per lui 
è importante affrontare questa sfi- 
da anche e soprattutto per donare 
speranza ad altre persone, giovani 
magari, che hanno un desiderio e 
credono, a causa delle più svariate 
difficoltà, di non poterlo realizza- 
re». 


Una sfida, dunque, la cui idea 
inizia a formarsi e a nascere pro- 
prio nel corso del confinamento 
dovuto al coronavirus che, nei 
mesi passati, ha travolto tutti e a 
Franco, in particolare, ha instillato 
un profondo senso di isolamento. 
«Nel corso della chiusura dovuta 
all'emergenza sanitaria da co- 
vid-19 —- racconta Dario —, Franco 
ha attraversato una fase di depres- 
sione; per questo mi sono detto 
che avrei dovuto fare qualcosa per 
aiutarlo e, ancora, che questo qual- 
cosa avrebbe dovuto realmente 
identificarsi con la realizzazione 
del suo sogno, che non è soltanto 
la partecipazione alla maratona di 
New York, ma pure prendere un ae- 
reo, visitare una grande città, fare 
dello sport all'aperto». 


Trattasi, pertanto, di uno stimo- 
lo vero e proprio. L'aiuto di Dario, 
che di professione fa il grafico 
pubblicitario, verso il fratello mag- 
giore - il quale, invece, è un artista 
(Franco ha realizzato oltre cento 
quadri, tramite il computer e uno 
specifico dispositivo, e circa dieci 
anni fa ha anche scritto un libro) — 
si trasforma in un autentico segno 
di rinascita; e Franco, una volta a 
conoscenza dell'ambizioso proget- 
to di Dario, non si tira indietro: si 


Ombre e Luci 155 


risolleva immediatamente, inizian- 
do a programmare allenamenti e 
quant’altro, in base a calendari ben 
precisi. «Franco — prosegue il mi- 
nore dei Leo — è una persona assai 
competitiva, per cui mi sollecita 
sempre a ottenere il miglior risul- 
tato possibile e, principalmente, a 
stare nei tempi che, secondo lui, 
potrebbero garantire un buon piaz- 
zamento nella competizione». 


Durante 

il confinamento 
Franco ha attraversato 
una fase 

di depressione 
Dovevo fare 
qualcosa per aiutarlo 
e per fargli realizzare 
il Suo sogno 

che è anche quello 

di prendere un aereo 
e visitare 

una grande città 


Nel frattempo, affinché il pro- 
getto effettivamente si concretiz- 
zi, i due fratelli hanno creato l'as- 
sociazione “SognoAttivo” e aperto 
una raccolta fondi che li aiuti a 
recuperare le risorse per poter 
partire e che, al contempo, dia una 
mano a chi, con disabilità, abbia 


ad esempio bisogno di una carroz- 
zella («Franco ne ha una con la se- 
duta simile a quella presente nelle 
macchine dei piloti, realizzata su 
misura da un artigiano di Reggio 
Emilia e donata dalla Fondazione 
Carisal di Salerno») o di qualun- 
que altra cosa gli permetta di vi- 
vere al meglio, in linea coi propri 
desideri. «Inizialmente —- continua 
Dario — speravo che il nostro so- 
gno (dico nostro perché ormai è di 
entrambi, un qualcosa che ci lega 
profondamente) rimanesse, per 
l'appunto, privato, ma Franco ha 
voluto creare l'associazione e, in 
un secondo momento, che la sua 
storia (e la volontà di partecipare 
alla maratona nella Grande Mela) 
si conoscesse, semplicemente 

per invogliare, come già accen- 
nato, gli altri ad andare avanti e 

a credere in se stessi. Oggi — dice 
ancora Leo — devo dire che è stata 
la scelta giusta, dal momento che 
riceviamo tantissimi messaggi 

e lettere di incoraggiamento e 
pure commenti da persone che ci 
dicono che, grazie a noi, hanno 
ritrovato un po' di speranza. È un 
confronto continuo che, per me e 
Franco, significa crescere, anche 
umanamente». 


Banco di prova e di rodaggio 
per la maratona di New York sono, 
inoltre, le gare a cui Dario e Fran- 
co Leo, in questi mesi, stanno 
partecipando per mettere a frutto 
gli allenamenti finora compiuti, 
per capire come perfezionarsi, 
quali tecniche adoperare per ar- 
rivare, tappa dopo tappa, fino a 


Central Park e, chissà, per fare 
letteralmente ingresso nell'albo 
d'oro stilato dagli organizzatori 
della manifestazione sportiva. 
«Abbiamo partecipato di recente 
alla Mezza Maratona di Latina 

e, devo dire, che siamo riusciti a 
raggiungere un buon posiziona- 
mento. Siamo arrivati 390esimi su 
oltre settecento atleti, tutti nor- 
modotati, percorrendo più di 21 
chilometri in un'ora e 48 minuti; 
e Franco ne è stato contentissimo 
— sottolinea Dario —. Adesso, tra le 
altre, proveremo a partecipare alla 
Mezza Maratona di Verona e poi a 
quella, a un passo da casa nostra, 
di Napoli; dopodiché, continuere- 
mo ad allenarci, dal momento che 
novembre si avvicina». 


Manca - è vero — poco alla gara 
che cade nella prima domenica di 
novembre, in quella meraviglio- 
sa cornice che è l'autunno a New 
York, e che solo in due casi (l’ura- 
gano Sandy del 2012 e la pandemia 
del 2020) non si è svolta. Una gara 
che, nell'immaginario collettivo, 
rappresenta un po' una festa; anzi, 
una corsa, per Dario e soprattutto 
per Franco, verso la libertà e con- 
tro qualsiasi tipo di pregiudizio: 

a prescindere dal risultato che si 
raggiungerà, per la famiglia Leo si 
può già parlare di successo perso- 
nale. Un successo per aver aiutato 
(e continuato a farlo) gli altri a 
comprendere che sì, se si ha un 
sogno e si fa di tutto, con pazienza, 
determinazione e tenacia, per per- 
seguirlo, si è sempre e comunque 
vincitori. OL 


Ombre e Luci 155 


Quel regalo Immenso 
chiamato vaccino 


Dal terrore del covid alla speranza 


Ho 16 anni, una rara sindrome genetica, una montagna di riccioli castani e un 
paio di occhi dolcissimi. Non uso il linguaggio verbale, la scienza mi qualifica 
come minore disabile gravissimo, ma ho un’immensa capacità di amare e di 
sorridere agli altri. Il covid ha stravolto la mia vita, togliendomi il dono più 
grande che ho: la socialità. Da un giorno all’altro, mi sono ritrovato in casa 
isolato dal mondo, circondato solo dai miei cari. Non sono più andato a scuola, 
non ho più nuotato in piscina, non ho più visto i miei cavallini, non ho più fatto 
musicoterapia. Il mio unico contatto con l’esterno è diventato uno schermo del 
pc in cui comparivano, come per magia, i visi delle maestre, dei terapisti, degli 
zii, dei nonni e meravigliosi concerti di musica classica. In casa ho avvertito 

una strana sensazione di costante paura e di tensione. Quando uscivo in strada 
vedevo tutti i visi coperti da strane mascherine e la mia mamma mi tirava 
sempre a sé quando tentavo di avvicinarmi a con qualcuno. Pure molto più tardi, 
quando ho ricominciato lentamente a rivedere la mia tata, i nonni che abitano a 
Napoli, gli assistenti che sono miei amici e poi le maestre e i compagni di classe, i 
terapisti, erano tutti bardati e non ho potuto più ricevere un bacio, non ho potuto 
più sedermi in braccio e farmi fare le coccole. Solo la miamamma ha cercato di 
colmare questo immenso vuoto. (Riccardo De Micco) 


di Isabella Corsini 


esoro mio hai ragione. Ab- 

biamo trascorso un anno di 

angoscia e terrore all'idea 
che tu in particolare, quale com- 
ponente più fragile della famiglia, 
potessi ammalarti e finire in terapia 
intensiva. Hai ascoltato i miei pianti, 
le richieste disperate a tuo fratello di 
non uscire, le mie preghiere. Come si 
può proteggere un bambino come te 
che non sopporta la mascherina, che 


Ombre e Luci 155 


lecca le mani continuamente, che si 
avvicina a chiunque? Come ho fatto 
a settembre scorso a decidere di ri- 
mandarti a scuola e a terapia, riapri- 
rela casa alle persone che ci aiutano 
con la paura che potessi ammalarti? 


Sono stati mesi di terrore forse 
peggio ancora del primo lockdown 
in cui eravamo rinchiusi in casama 
almeno al sicuro. Sono stata costretta 
a rischiare pur di farti vivere, come 


quando si gioca alla roulette russa. 
Non mi sono mai sentita più impo- 
tente e impaurita perché costretta a 
esporti a un rischio enorme. Ho va- 
lutato che se decidevo di proteggerti 
isolandoti, ti saresti ammalato psico- 
logicamente e saresti inesorabilmente 
regredito perdendo tutti i piccoli pro- 
gressi guadagnati faticosamente dopo 
anni e anni di stimoli, terapie e socia- 
lizzazione. Ho deciso di rischiare. 


Poi finalmente è arrivato Natale 
che ci ha portato la speranza del 
vaccino. Dopo aver acquisito il pare- 
re favorevole dei due centri di rife- 
rimento italiani della tua sindrome 
e aver organizzato un webinar sui 
pro e contro del vaccino per i minori 
come te, ho deciso di farti vaccinare 
al compimento dei tuoi 16 anni. La 
paura che tu possa ammalarti è di 
gran lunga superiore ai rischi di que- 
sto vaccino sperimentale. 


Che emozione 

Il giorno 

della prima dose! 
Sembrava 

ti stessimo 
accompagnando 

a un nuovo 
battesimo 


Dopo mesi e peripezie è arrivato 
il tuo turno. L'Italia è il Paese della 
burocrazia dove tutto può diventare 
complicato sebbene le disposizioni 
normative a tutela dei minori disabi- 


Riccardo riceve la prima dose del vaccino 


li gravissimi siano cristalline. Dopo 
una lunga battaglia, fiumi di mail 
e attese telefoniche sono riuscita a 
conquistare il tuo e i nostri vaccini 
per proteggere tutta la famiglia. 


Che emozione il giorno della 
prima dose! Sembrava ti stessimo 
accompagnando a un nuovo bhattesi- 
mo, la speranza concreta di ricomin- 
ciare una vita normale. Ti guardo 
con una gioia immensa avvicinarti 
in sicurezza e prendere la mano di 
chi conosci e lasciarti abbracciare, 
senza rischio di contagio. Ti vedo 
molto più sereno, sorridi di più ri- 
spetto ai mesi scorsi. Cercheremo 
di recuperare il tempo perduto, con 
i vecchi e nuovi amici che questo 
tempo strano ci ha regalato. OL 


Ombre e Luci 155 


a 
ng 


26,7% 

Donne con disabilità 
occupate 

Contro il 36,3% degli 
uomini 


@; Fonte: Conoscere il mondo 
della disabilità, Istat 2019 


Persone tra i 15 e i 64 

anni con limitazioni 
funzionali che hanno 
un impiego lavorativo 


to Contro il 57,8% delle 
persone senza limitazioni 


© @; 35,8% 


La media europea 
di inclusione lavorativa 
supera invece il 50% 


42,2% 


Persone con disabilità 
che lavorano al Centro 


37,3% al Nord 
18,9% al Sud 


2 Su 3 


Persone con disabilità 
soddisfatte del proprio 
impiego 


49,7% 


Lavora nella Pubblica 
Amministrazione 


* 27% nei servizi 
0; 16,9% nell'industria 


6,4% nell'agricoltura 


26,1% 59 anni {} 


Tasso di disoccupazione Età media delle persone 

dei giovani (25-44 anni) con disabilità occupate 

con disabilità ©: 
Contro il 18,5% delle 

persone senza limitazioni ©; 


Nn ol o 4°; 


FOCUS LAVORO 


Misento grande 


Il percorso e le soddisfazioni 
lavorative di una ventinovenne 


di Silvia Freschi 


iao! Mi chiamo Silvia, ho 29 
( anni, abito a Locate Triulzi, 
ma da quasi tre anni vivo 
alla Casa Comune nel quartiere 
Isola di Milano insieme ad altre 
ragazze per l'esperienza del “dopo 
di noi”, ho due fratelli e due nipo- 
tini. Lavoro già da un po’ al McDo- 
nald’sin un centro commerciale 
di Sesto San Giovanni. Quando 
ho fatto il colloquio mi avevano 
chiesto se mi andava bene fare un 
lavoro ripetitivo che, mi hanno 
spiegato, vuol dire fare sempre le 
stesse cose. Così ho imparato a 
preparare le insalatone e le farci- 
ture dei toast. Non è stato facile 
essere precisi, ma ci sono riuscita 
imparando una ricetta alla volta. 
Poi la direttrice del mio negozio 
mi ha fatto lavorare al McCafè ad 
aiutare la mia collega quando c’è 
tanta gente: io carico e svuoto 
©; la lavastoviglie, così lei può 
@; Visto che imparavo 
bene, dopo alcuni mesi mi 
ha insegnato anche a servire ai 
tivo perché devo essere veloce e pre- 
cisa; qualche volta i clienti mi fanno 


servire i caffè. 
tavoli. Questo lavoro è impegna- 


domande a cui non so rispondere, 
allora io chiedo aiuto ai miei colle- 
ghi. Mi dicono che sono brava per- 
ché sorrido sempre e sono gentile. 
Nel periodo del coronavirus abbia- 
mo lavorato spesso con l'asporto e io 
ho imparato a preparare le bibite e a 
chiudere i sacchetti per il Glovo. 


Lavoro dal lunedì al venerdì 
sempre con lo stesso orario, men- 
tre i miei colleghi fanno i turni, 
quindi vedo tutti i giorni persone 
diverse. All’inizio era difficile, 
ma adesso sono contenta: parlo 
con tante persone e mi vogliono 
bene. Quando, dopo il tirocinio di 
un anno, sono stata assunta, sono 
stata molto contenta, ma ho fatto 
tanta fatica ad abituarmi ad alcu- 
ne cose: timbrare giusto, lavorare 
nelle festività infrasettimanali 
quando i miei genitori e i miei fra- 
telli erano a casa (e mi veniva da 
piangere) e dover chiedere il per- 
messo al mio capo per le vacanze. 
Sono contenta di lavorare perché 
mi sento grande, ho conosciuto 
tanti colleghi con cui parlo e al 10 
del mese chiedo sempre al papà se 
sono arrivati in banca i soldi del 
mio stipendio. OL 


Ombre e Luci 155 11 


12 


FOCUS LAVORO 


Dietro le quinte 
di un'assunzione 


| genitori e i colleghi di Silvia raccontano 
la sua esperienza al McDonald's 


di Cristina Tersigni 


on hanno avuto dubbi i geni- 
N® di Silvia a scommettere 

sul bene che la figlia avrebbe 
potuto ottenere chiedendo di rive- 
dere la sua categoria di inabilità al 
lavoro data dalla certificazione di 
invalidità al 100%. Qualche dubbio 
in più, hanno ammesso, lo hanno 
avuto quando si sono ritrovati a de- 
cidere dove Silvia avrebbe lavorato. 
In ballo c'erano la distanza da casa 
con «un’ora e un quarto di durata del 
viaggio prendendo treno, metropo- 
litana, autobus, più un tratto a piedi 
e il fatto che il negozio si trovasse 
all'interno di un centro commercia- 
le, potenzialmente rumoroso e stan- 
cante». Per arrivare all'importante 
decisione «è stata fatta una riunione 
di famiglia» nella volontà costante 
«di coinvolgere i fratelli nei momenti 
decisionali». E hanno optato, tutti 
insieme, per la destinazione rag- 
giungibile con i mezzi pubblici anche 
se più distante. 


Non è stato semplice decidere ma 
tutto il percorso educativo affrontato 
da Silvia proprio a questo mirava e 
nessuno voleva che andasse perduto. 


Ombre e Luci 155 


Ma «cos’ha Silvia che non va?». E 
perché il traguardo dell'iniziale con- 
tratto a tempo determinato è stato 
festeggiato più che una laurea? 


Silvia Freschi a lavoro 
(foto scattata prima della pandemia) 


Silvia è una giovane di bell'a- 
spetto senza una diagnosi precisa. 
Da piccola era soprattutto il ritar- 
do del linguaggio a preoccupare i 
suoi genitori, Paola e Claudio Fre- 
schi che, in seguito, hanno dovuto 
accettare e confrontarsi con una 
diagnosi di ritardo intellettivo me- 
dio grave. Ma «vedere anche quel 
che non piace, la disabilità della 
propria figlia e i suoi limiti, ha si- 
gnificato non arrendersi o tarparle 
le ali. Anzi! Proprio il partire dal 
dato di realtà ci ha permesso di far 
pace con ciò che non riesce a fare 
(fino a sorriderne e a prenderla 
in giro) espingere al massimo su 
quello che può sviluppare». Così se 
la scelta della scuola per aiuto cuo- 
co dell'Anffas dopo le scuole medie 
«è costato tanti pianti, sembrando 
una resa ai limiti intellettivi di Sil- 
via» alla fine si è rivelata «la strada 
vincente per una migliore accet- 
tazione di sé e per mettere le basi 
concrete per il suo futuro lavora- 
tivo». La scuola prevedeva tirocini 
scolastici annuali per diverse man- 
sioni lavorative che comportavano 
la necessità di confrontarsi con 
tante persone e realtà differenti, da 
accettare e da cui farsi accettare, e 
— cosa non secondaria- la necessità 
di acquisire altre e decisive auto- 
nomie come l'utilizzo dei mezzi 
pubblici per raggiungere ogni nuo- 
vo luogo di lavoro. «Dovevamo pla- 
care l'ansia di saperla in giro per 
Milano e siamo diventati cellulare 
dipendenti!» ricorda la mamma Pa- 
ola che l'ha guidata, in tanti piccoli 
passi, in metropolitana, per stazio- 


ni e autobus, un tirocinio alla vol- 
ta, rendendola sempre più in grado 
di muoversi, alla fine, da sola. 
Oppure seguendola al colloquio di 
lavoro più importante, sedendosi 
in fondo alla stanza e intervenen- 
do solo quando necessario. «Silvia 
si è sentita sempre sostenuta e ha 
vissuto le diverse esperienze come 
la sua scuola per diventare grande, 
evitando così di sentirsi inferiore 
ai fratelli che frequentavano l’u- 
niversità». Paola racconta di aver 
ridimensionato le sue aspirazioni 
professionali per seguire meglio 
Silvia durante la sua crescita: ogni 
sforzo è stato affrontato nell’idea 
di renderla il più possibilein grado 
di affrontare difficoltà in un’auto- 
nomia su misura per lei. 


Tutto facile allora? Niente affat- 
to. «Silvia si è trovata catapultata 
in un mondo che le chiedeva delle 
responsabilità da adulta (timbra- 
tura del cartellino, ferie limitate 
a quelle concesse, ecc.) e che non 
coincideva con l'immagine di sé che 
aveva costruito nel tempo. Sono 
stati mesi duri, superati grazie alla 
sua determinazione, agli interventi 
della psicologa, al nostro sostegno, 
alla grande accoglienza e capacità 
di vera inclusione del personale 
McDonald's». 


Arriviamo così alla controparte, 
il datore di lavoro che, ovviamente, 
ha un ruolo fondamentale. Sappia- 
mo bene che la normativa vigente 
impone ad ogni azienda o ente 
pubblico un numero preciso di 
dipendenti con disabilità rispetto 
quelli normodotati; ciò nonostan- 


Ombre e Luci 155 13 


te, molte aziende preferiscono pa- 
gare le multe pur di non adempire 
a questo obbligo. L'esperienza di 
Silvia e di tanti altri giovani con 
disabilità ci raccontano invece di 
buone pratiche e di realtà come 
questa che, aderendo alla legge con 
gli incentivi che comporta dal pun- 
to di vista fiscale e contributivo, 
danno realizzazione ad una catena 
virtuosa a partire da un progetto 
che, nel caso di Silvia, è stato re- 
datto con il supporto del Consorzio 
SIR Ex Anffas attivo in Lombardia. 


Nonè stato 
sempre facile 

ma Silvia 

si è sentita 
sostenuta 

e ha vissuto 

le esperienze 
come la sua scuola 
per diventare 
grande 


Silvia - in quasi sei anni di lavo- 
ro con l'azienda Euroristoro, che 
ha in franchising diversi ristoranti 
a marchio McDonald'sin Lombar- 
dia, con circa 900 dipendenti —- ha 
sempre trovato colleghi e respon- 
sabili che hanno imparato a co- 
noscerla e apprezzarla. Un gruppo 
realmente capace di «sentirsi una 
squadra» con persone come Silvia, 


Ombre e Luci 155 


e capace di misurare il lavoro sulle 
sue possibilità senza mai smettere 
di stimolarla a migliorarsi. All’ini- 
zio, racconta Debora la direttrice 
del Ristorante che ha lavorato con 
lei i primi due anni, non è stato 
semplice «lavorare con una bella 
ragazza che nessuno, se non dopo 
un buon dialogo con lei, immagi- 
nava potesse avere delle difficol- 
tà». Ogni giorno tra nuove scoperte 
e qualche errore, scrive ancora De- 
bora, «il suo mettersi ogni giorno 
in gioco permetteva alla squadra 
di aumentare i propri valori; è 

un esempio per tutti e premiarla 
davanti a tutti rende la squadra 
orgogliosa di lei». Chi la conosce 
da quasi sei anni, come Arianna 
che l’ha accolta al primo colloquio, 
«ha la soddisfazione di averla vista 
crescere, personalmente e profes- 
sionalmente». E riconosce che «la 
presenza di Silvia nel ristorante è 
fonte di ricchezza umana, di sfida, 
di superamento dei propri limiti e 
abbattimento di barriere, spesso 
mentali e non reali. Ogni suo pas- 
so in avanti, è un grande orgoglio 
anche per noi, oltre che per la sua 
famiglia». 


Dall'ottobre del 2019, Silvia è 
stata assunta a tempo indeter- 
minato. Il contratto, con qualche 
accortezza per quanto riguarda 
le pause e i riposi ma per il resto 
sovrapponibile a quello degli al- 
tri colleghi, le offre quel margine 
di elasticità che nei precisissimi 
ingranaggi della grande azienda 
della ristorazione veloce non sono 
scontati. Ma tutti hanno avuto e 


continuano ad avere a cuo- 

re che il rapporto funzioni, 
pronti a mettere in conto le 
inevitabili difficoltà. Racconta 
il papà Claudio che «il mana- 
ger, al momento della firma 
del secondo contratto, leha 
detto che, dopo averla cono- 
sciuta bene e aver valutato 
positivamente le sue capacità, 
si impegnavano a tenerla “per 
sempre”, proprio come in un 
matrimonio. Da quando lavora 
— concludono orgogliosi i geni- 
tori — Silvia si sente più grande, 
responsabile e utile per il buon 
funzionamento del ristorante. 
Ha aumentato la sua autosti- 
ma, ha allargato le sue relazioni ed 
ha dato un senso alle sue giorna- 
te, ricompensando tutte le nostre 
fatiche e aiutandoci a riscoprire il 
senso profondo delle cose che vi- 
viamo». 


La catena di 


Il rapporto su L’inclusione lavorativa 
delle persone con disabilità stilato nel 
2019 dalla Fondazione Studi Con- 
sulenti del Lavoro sottolinea che a 
vent'anni dalla legge n. 68/1999 (che 
disciplina l'inserimento lavorativo 
delle persone con disabilità) è anco- 
ra una realtà la marginalizzazione 
dal mondo del lavoro, e quindi dalla 
società, delle persone con handicap. 
A farne le spese sono soprattutto 
quanti hanno una disabilità intel- 
lettiva: rispetto a loro, infatti, il 
pregiudizio di presunta inaffidabilità 


Silvia e Debora, direttrice del ristorante 
in una foto scattata prima della pandemia 


Da qualche tempo Silvia sta 
sperimentando anche la vita in au- 
tonomia in una casa protetta insie- 
me ad altre persone con disabilità. 
Altro che scommessa, insomma... 
il percorso di Silvia si è rivelato un 
investimento assai oculato. OL 


assunzioni 


sembra più marcato. Si compren- 

de quindi perché Coordown inviti 
aziende e datori di lavoro a superare 
e far superare questo stigma. Final- 
mente però una buona notizia: con 
l'ultima campagna pubblicitaria The 
Hiring Chain — accompagnata dalla 
voce inconfondibile del cantante in- 
glese Sting in una originale filastroc- 
ca musicale — Coordown aggancia il 
primo anello. È l’assunzione, a fine 
aprile 2021, di una persona con sin- 
drome di Down da parte della casa di 
moda Salvatore Ferragamo. OL 


Ombre e Luci 155 


FOCUS LAVORO 


Diario di Efrem lavoratore 


Dalla ceramica all'editoria, passando 
per l'archivio di Stato e il polo museale di Bari 


di Efrem Sardella 


Efrem Sardella vive a Monopoli, in provincia di Bari, da quando è nato, 45 anni 
fa. Sin da bambino, ama la musica. La madre, organista e direttrice di coro, 
gliel’ha fatta conoscere da subito. Coccolato dalle amate zie, Efrem è cresciuto 
fra casa e parrocchia. È uomo di preghiera (un ministrante coi fiocchi!) e di 
azione. Per Ombre e Luci ha scritto brevi memorie sui tanti tentativi di inserirsi 
nel mondo del lavoro. Spera che il racconto dei suoi successi e dei suoi fallimenti 
possa servire ad altri. 


opo aver “onorevolmente” 
D frequentato le scuole ele- 

mentari e medie ho con- 
seguito la tanto desiderata licenza. 
Ma dopo, cosa fare? Mi sarebbe 
piaciuto continuare la scuola ma ai 
miei tempi non c'erano molte occa- 
sioni per continuare a frequentarla. 
La mia unica occupazione era fare 
il ministrante in parrocchia e poi, 
una volta al mese, l’incontro con gli 
amici di Fede e Luce. || mio parroco, 
don Armando, pensò di formare la 
cooperativa “Shalom” i cui soci era- 
no anche persone (come si dice ora) 
diversamente abili: collaboravamo 
con Ceramica delle Puglie confezio- 
nando tazzine, piattini, piatti, attac- 
cando etichette, decorazioni e altro. 
Il mio compito era di timbrare i car- 
toni che contenevano il prodotto del 
nostro lavoro. Ricordo molto volen- 
tieri i colleghi: Mariuccia, Sabrina, 


16 Ombre e Luci 155 


Onofrio, Enzo e soprattutto Piero e 
Silvio che erano i capi e distribuiva- 
no le paghe. Purtroppo però ricordo 
anche i litigi che qualche volta suc- 
cedevano fra i colleghi e che io non 
sopportavo. E così, una volta, stanco 
di sentirli, me se sono andato perché 
ero disperato, e poi Piero è venuto a 
cercarmi. Ogni tanto facevo qualche 
danno: mettevo le tazze sul nastro 
trasportatore e a volte cadevano, si 
rompevano e Piero mi rimproverava. 
Ma anche se non ho mai litigato con 
nessuno, dopo 10 anni la Ceramica 
delle Puglie si è trasferita e noi sia- 
mo rimasti senza lavoro. E ora che 
faccio?! mi sono chiesto. Sono disoc- 
cupato... Veramente, non sono mai 
stato senza far niente: ho frequen- 
tato un corso di ceramica presso 
l'Istituto d'Arte, imparando anche a 
impastare l'argilla e a decorare vasi 
di terracotta. Ma anche questa espe- 
rienza, dopo un po’, è terminata... 
Poi l’Istituto tecnico commerciale, 
nel 2007, organizzò un “Caring eco- 
logico” tra le attività a sostegno dei 
soggetti svantaggiati; tutte belle 
esperienze: nuovi tutor, nuovi psi- 
cologi, nuove attività e nuovi amici 
che ricordo con nostalgia, soprattut- 
to perché anche questa esperienza, 


dopo un anno scolastico, si concluse. 


Quindi ricominciarono le giornate in 
cui non mi rimaneva che ascoltare 
la musica, soprattutto la mia musica 
preferita che è quella dei cori, cori di 
montagna, cori di chiesa. Sognavo di 
avere un coro tutto mio, e di essere 
io il Maestro direttore e dirigevo... 
dirigevo... e mi sentivo una persona 
importante. 


Ascoltare musica e immaginare 
di dirigere un coro tutto mio non è il 
mio unico impegno: mi rendo utile 
in casa, se mia madre ha bisogno di 
qualche lavoretto come apparec- 
chiare, stendere la biancheria, fare 
qualche piccola spesa al supermer- 
cato o alla latteria (anche se devo 
essere sincero, contare i soldi non è 
il mio forte, per fortuna i venditori 
sono onesti e così posso fidarmi!). 
Mia madre è preoccupata e pensa a 
qualche altra soluzione per questo 
mio problema del lavoro: è vero 
che continuo a essere ministrante 
in parrocchia, ma è indispensabile 
trovare una vera occupazione. Cer- 
cando, siamo rimasti colpiti dagli 
obiettivi dell’AIPD (Associazione 
italiana persone down) che diceva: 
Inserimento nel lavoro dei soggetti 
diversamente abili. Ci siamo messi 
in contatto e ho frequentato rego- 
larmente l'associazione con sede a 
Bari: sono stato molto contento di 
conoscere nuovi amici e nuovi tutor, 
l'organizzazione ci è sembrata molto 
seria. Il mio tutor era Salvatore, che 
per un po' di tempo è venuto da Bari 
a Monopoli per farmi diventare più 
autonomo e mi ha fatto capire che 
sono un ragazzo Down. Chissà per- 
ché, fino a questo momento non mi 
ero accorto di questa piccola diffe- 
renza... Devo dire che è stato un po' 
difficile e un po' duro da accettare; 
ma (grazie all’acqua di Lourdes) ho 
superato anche questa prova, anche 
se di acqua ne ho dovuta bere tanta! 


Gli incontri per farmi diventare 
più autonomo hanno funzionato: 
mentre all’inizio i miei genitori 


Ombre e Luci 155 17 


18 


dovevano accompagnarmi a Bari e 
rimanere ad aspettare la fine del no- 
stro incontro in associazione, dopo 
un po' sono riuscito a prendere il 
treno dalla stazione di Monopoli per 
Bari da solo! Segnavo a matita su un 
foglietto tuttele stazioni che ci sono 
da Monopoli a Bari eman mano che 
il treno ci passava le cancellavo, in 
modo da non sbagliarmi e scendere 
a quella giusta. Andavo a Bari col 
treno per incontrare gli amici una 
volta la settimana nel pomeriggio, 
ma la sera venivano a riprendermi i 
miei genitori perché era un po' tardi. 


Quando 

abbiamo completato 
la prima rivista 
Vivere In 

l'no portata a casa 
come se avessi 

vinto una gara 

e mi avessero 

dato la coppa 


Un giorno i miei tutor dell’AIPD 
mi fecero una proposta: un tiro- 
cinio formativo presso l'Archivio 
di Stato con mansioni di archivia- 
zione informatica dei dati (questa 
volta mi sentivo veramente impor- 
tante!). Da settembre 2012 a giu- 
gno 2013 la mattina mi alzavo per 
prendere il treno che mi portava a 
Bari. Dalla stazione centrale pren- 


Ombre e Luci 155 


devo l'autobus fino all'Archivio 

di Stato, dovevo fare attenzione e 
scendere alla fermata giusta: non 
ho mai sbagliato sia a prendere 

il treno che a prendere l'autobus 
(il mio Angelo Custode mi sorve- 
gliava!). All’Archivio incontravo 
Daniela e Rossella, due persone 
veramente speciali che mi guida- 
vano nel lavoro. Avendo una buona 
conoscenza del programma Word, 
le mie mansioni erano di archi- 
viare documenti antichi e inserirli 
nel computer. È stato un lavoro 
un po' difficile all’inizio perché 
richiedeva molta attenzione, ma 
dopo 10 mesi volete sapere quanti 
nomi avevo inserito? Più di 5000! 
Lo schedario comprendeva: nomi- 
nativo, paternità, data e luogo di 
nascita, residenza, colore politico, 
professione ecc. ecc. Dopo 10 mesi 
i dirigenti dell'Archivio di Stato 
mi hanno fatto un grande regalo: 
hanno stampato il mio lavoro e lo 
hanno presentato in un convegno 
a cui hanno partecipato tante per- 
sone importanti. È stato un lavoro 
molto impegnativo che però ricor- 
do con grande nostalgia. 


Un secondo tirocinio l'ho 
svolto presso il Polo Museale di 
Bari: anche questa volta le mie 
mansioni erano l'archiviazione di 
documenti antichi, la scansione 
e l'inserimento nel computer. Il 
tirocinio durò 3 mesi (da ottobre 
2016 a gennaio 2017). E così rico- 
minciai a viaggiare ogni mattina 
dal lunedì al venerdì: il treno era 
sempre lo stesso ma il percorso 
dalla stazione al Polo Museale era 


diverso perchè bisognava pren- 
dere l'autobus n.20, obliterare il 
biglietto, fare attenzione al per- 
corso; quando vedevo il Castello 
voleva dire che stavo per arrivare, 
quindi prenotavo la fermata e poi 
scendevo. Dalla fermata in Largo 
Santa Chiara, a piedi raggiunge- 
vo il Polo Museale. Il mio turno 
iniziava alle ore 9,30 e terminava 
alle 12,30. Quindi facevo il per- 
corso di ritorno fino alla stazione 
e riprendevo il treno. Devo dire 
che non è stato tutto facile, a vol- 
te è stato molto impegnativo ma 
finalmente mi sono sentito utile; 
i miei colleghi dicono anche di 
avere nostalgia di me. Mi chiedo 
perché queste esperienze durino 
così poco tempo?! 


Dopo il lavoro al Polo museale, 
ricomincio a passare la mattinata 
senza un impegno serio. È vero 
faccio il casalingo, aiuto mia ma- 
dre, se proprio non c'è nulla da 
fare c'è sempre il “mio” coro che 
mi aspetta. Ma non è la stessa 
cosa che sentirsi utile agli altri. 
Le giornate trascorrono in attesa 
dell'impegno di ministrante in 
parrocchia, dell'incontro mensile 
con Fede e Luce e poi c'è l'attesa di 
quei giorni di vacanza in cui sare- 
mo insieme con gli amici di Fede e 
Luce, pochi giorni ma intensi: tan- 
ti bei ricordi! 

Per un breve periodo, il mio 
attuale parroco, dirigente della 
Caritas diocesana, mi chiese un 
aiuto: anche qui dovevo trascrive- 
re al computer alcuni documenti 
manoscritti sui libri parrocchiali. 


Ma anche questa iniziativa terminò 
presto. Il 2020, finalmente (non 
pensando al Covid) mi ha portato 
un'altra grande, inaspettata sor- 
presa: una responsabile della Casa 
Editrice Vivere In di Monopoli mi 
chiede «Vuoi venire a lavorare alla 
nostra tipografia? C’è bisogno di 


tel», È proprio vero che le vie del Si- 
gnore sono infinite. Mio padre ogni 
mattina va in campagna, quindi mi 
accompagna e poi mi riprende per 
pranzo. Sono contentissimo! | col- 
leghi (Sante, Gianni, Marco, Dario 

e Antonio) mi accolgono a braccia 
aperte. Questa volta è un lavoro di- 
verso: bisogna stampare e impagi- 
nare riviste, libri, addirittura volumi 
che parlano del Vaticano. Quando 
abbiamo completato la prima rivi- 
sta Vivere In, me ne hanno dato una 
copia e l'ho portata a casa come se 
avessi vinto una gara e mi avesse- 
ro dato la coppa. Quando rientro, 
mia madre mi chiede: «Tutto ok? 
Hai lavorato bene?» E io rispondo: 
«Uuuuh! Ho lavorato a crepapelle», 
e così tutti ridono... ma perché?! OL 


Ombre e Luci 155 


\J DALL'ARCHIVIO 


Per un lavoro umano 


Ancora attualissime le parole 


20 


del cardinale Martini 


Scopri l'archivio degli articoli passati 


su ombreeluci.it/archivio 


di Maria Teresa Cabras dal n. 78 del 2002 


Ila vigilia del 1° maggio il 
cardinale Martini ha parla- 
to a più di duemila operai 


della Franco Tosi di Milano. Tra 
tanti discorsi politici, commenti 
giornalistici, saggi e commemora- 
zioni, le sue parole sono risuonate 
alte e severe nella condanna di 

un lavoro non più umano, forti e 
solidali nell’esortazione ai lavora- 
tori all’unità e alla partecipazione, 
proprio come quelle di un antico 
profeta biblico. 


Dice il cardinale: «Spesso si 
richiede una dedizione così totale 
e monopolizzante al lavoro che 
lo si potrebbe catalogare sotto 
l'elenco delle idolatrie deprecate 
dalla Scrittura (...) Sento parlare di 
turni di lavoro faticosi e stressanti, 
di famiglie che devono sostenere 
avvicendamenti di lavoro nella 
coppia per cui, a volte, non riesco- 
no neppure a vedersi per alcuni 
giorni. (...) Sento che i costi sono 
talmente alti (...) in termini educativi 
per la fatica di seguire personalmente 
i figli». Carlo Maria Martini descri- 
ve il lavoro dei nostri giorni come 
libero da una pesante manualità 
rispetto al passato ma che, proprio 
per questo «richiede persone intelli- 
genti, intuitive, sensibili, adattabili, 


Ombre e Luci 155 


sempre giovani e scattanti, sempre 
aggiornate e vivaci (...) non di rado 
mancano le forze, il tempo, l’intelli- 
genza e le competenze sufficienti». 


È naturale che ascoltando in 
particolare queste riflessioni del 
cardinale il nostro pensiero corra 
alle famiglie che ci sono più vicine, a 
quelle che vivono con un figlio disa- 
bile per il quale tempo, attenzione e 
dedizione devono essere raddoppia- 
te o centuplicate; a tanti giovani che 
conosciamo, autonomi, in grado di 
svolgere attività semplici con moda- 
lità diverse. Quale presente vivono 
e quale futuro li attende in que- 
sto mondo del lavoro che diventa 
l’unico dio, un vitello d’oro cui tutti 
quanti rischiano di doversi piegare? 


Mail cardinale Martini ci invita 
a nutrirci della Scrittura, a restare 
fedeli alla legge del rispetto per 
l'altro, additata nel Vangelo. Ci 
chiede di essere uniti di fronte alle 
difficoltà, capaci di vedere la sof- 
ferenza e coraggiosi nell’intrave- 
dere le soluzioni perché non serve 
lamentarsi ma serve con capacità e 
sensibilità costruire una realtà più 
umana. E noi gli crediamo perché 
si deve credere ai Profeti. OL 


DALLA NEWSLETTER 


Una foto da Hong Kong 


Ombre e Luci a ottomila chilometri di distanza 


Padre Mario Marazzi, padre Giosuè Bonzi 
e padre Fernando Cagnin da moltissimi 
anni vivono a Hong Kong, in quella che era 
ancora una colonia britannica quando arrivò 
il primo dei missionari italiani, padre Paolo 
Reina, nel 1858. Nei 150 anni dal suo sbarco, 
nel 2008 i padri hanno posto un cippo 
per ricordare l’inizio della loro missione 
sempre a favore delle necessità degli ultimi 
nell’annuncio del Vangelo. È quello che 
vediamo nella foto che ci hanno inviato. 

Il primo da sinistra è padre Giosuè 
Bonzi: dal 1977 è co-fondatore e 
consulente spirituale della Fu Hong Society 
(originalmente dal nome inglese di The 
Society of Homes for the Handicapped), e 
dal 1997 risiede come “Fratello Maggiore” 
nella Encounter Family- Care Home con 
un gruppetto di donne e uomini con 
handicap intellettivo, la prima delle 
quattro case-famiglia (Family-care Homes) 
da lui iniziate, e dove fin che il Signore 
permetterà intende concludere la sua 
attività missionaria in Honk Kong-Cina. A 
seguire padre Fernando Cagnin, presente 
in Cina da oltre vent'anni a servizio delle 
persone con disabilità di Huiling; ora 
è temporaneamente a Hong Kong per 
difficoltà burocratiche riguardanti il visto 


di residenza-lavoro nella Repubblica 
Popolare Cinese. Padre Ignazio Lo, è prete 
diocesano di Hong Kong fratello maggiore 
in una casa-famiglia della Fu Hong Society; 
infine, padre Franco Cumbo e padre Mario 
Marazzi, due missionari collaboratori nelle 
attività a favore di persone con disabilità. 
Proprio padre Mario ci scriveva nel 2010 del 
suo ritorno a Guangzhou (da noi conosciuta 
come Canton) dopo una vacanza in Italia 
nel suo paese sul lago di Como e di quanto 
fosse preziosa l'esperienza vissuta accanto 
alle persone con cui viveva; ci raccontava 
anche di un treno ultraveloce che avrebbe 
collegato quella parte meridionale della 
Cina con Wuhan: ora conosciamo bene 
quel nome... Il costo del biglietto di 
seconda classe però rappresentava la metà 
del salario di una delle “mamme” della 

casa famiglia trasferite dalla campagna 

per lavoro. La loro corrispondenza è stata 
sempre frutto di scorci preziosi anche per 
noi, offrendoci possibilità di condivisione 
da un paese che per tanti versi rimane poco 
conosciuto e comprensibile. Con le loro 
voci a raccontarcelo, lo sentiamo invece più 
vicino. (Cristina Tersigni) 


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Ombre e Luci 155 


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Stasera milonga? 


A Latina l'associazione L'Oltre Tango 


di Cristina Tersigni 


i fai ballare un tan- 
« go?». Una diciasset- 
tenne di Latina, Elisa 


Pascali, chiedeva così di provare, per 
la prima volta, il famoso abrazo e 
mostrava un vero talento nel muo- 
vere passi e adorni. Dando a Rober- 
to Nicchiotti, educatore 
socio-pedagogico e papà di 
un ragazzo con disabilità, 
l’idea di proporre la sua 
passione da maestro di tan- 
go a persone come lei, con 
la sindrome di Down, o con 
altre disabilità. Dal 2015 in 
tanti hanno cominciato a 
praticarlo aderendo all’ini- 
ziativa L'Oltre Tango (una 
scuola, un metodo regi- 
strato e insegnato, adatto 

a persone con disabilità 
cognitiva, fisica, motoria e 
neurodegenerativa) ap- 
prezzando le possibilità, 
anche terapeutiche, di una 
vera e propria arte che con la sua 
musica evoca emozioni diverse e con 
i suoi riti ela sua etichetta ha una 
forte componente socializzante. 


A specificarne gli aspetti costruttivi 
fondamentali è anche la psicoterapeu- 
ta Silvia Campanelli che accompagna 
e segue i diversi gruppi. «Si lavora 
sulla fiducia verso gli altri, sulla capa- 


Ombre e Luci 155 


cità di lasciarsi guidare e di guidare, 
attraverso giochi a tempo di musica, 
abbracci ed altre attività. Ragazzi e 
adulti prendono coscienza dei propri 
corpi e di quelli degli altri, aumentan- 
do la fiducia in sé stessi e migliorando 
diversi aspetti della vita quotidiana». 


Nell'abbraccio «contenitivo, con- 
fortante, emozionante, accogliente 
e sincero», spiegano i conduttori, 
trova spazio «l'espressione di sé 
stessi in relazione con gli altri, senza 
giudizi» cosicché «fare un movimen- 
to, un passo, e trasmetterlo all'altro, 
diventa non un’attività motoria fine 
a sé stessa ma espressione di un'e- 


mozione, un momento sociale e di 
coppia». Centrale è infatti il gioco 
della complementarità dei ruoli ma- 
schile e femminile: «La forte connes- 
sione tra l’intenzionalità di compiere 
un preciso movimento (dell'uomo) 

e il corpo che deve eseguirlo atti- 
vamente (per la donna) sfruttando 
cambi di peso e di direzione, tor- 
sione del busto, passi siain avanza- 
mento che in arretramento, pause 

e accelerazioni, fanno sì che vi sia 

un progressivo e costante migliora- 
mento dell’equilibrio, della postura e 
della qualità del movimento». 


Trai circa 70 ragazzi distribuiti 
tra i quattro laboratori — seguiti 
molti anche online, durante il covid, 
con esercizi di tango inusualmen- 
te concessi ai familiari stretti — si 
trovano anche ragazzi con autismo, 
adolescenti e preadolescenti, per | 
quali imparare a tollerare un ab- 
braccio non è affatto scontato. Con 


l’aiuto di molti volontari, l’attività 
mirata all'insegnamento del tango 
ogni anno si concentra sull'allesti- 
mento di uno spettacolo teatrale 
costruito sui suggerimenti dei 
partecipanti e in collaborazione di 
professionisti del settore. 


Spettacoli decisamente Combi 
(nella definizione paralimpica che 
vede la partecipazione di un atleta 
con disabilità e un compagno senza) 
come le tante gare di danza sportiva 
a cui Nicchiotti ha partecipato con 
i suoi allievi come scuola associata 
FIDS (Federazione Italia- 
na di Danza Sportiva) ot- 
tenendo grandi soddisfa- 
zioni: due premi europei, 
uno insieme a Elisa (ora 
23enne) e uno con Ilaria 
Sani (23 anni anche lei), 
ballerina nella categoria 
di danza in carrozzina. E 
un altro premio importan- 
te per Federico Morgagni 
in coppia con Elisa Pascali 
nella categoria Duo (nella 
quale entrambi gli atleti 
hanno una disabilità, in 
questo caso la sindrome 
di Down). Veri e propri 
artisti e atleti che sognano 
di poter fare una trasferta 
a Buenos Aires, capitale del tango, 
per esibirsi, approfondire la tecnica 
e divertirsi in milonga, così come 
hanno fatto spesso prima del covid 
anche qui in Italia. Un «sogno di 
libertà» come dice Ilaria: il tango ha 
aperto a lei e ai suoi compagni una 
passione che nutre vita, anima e 
cuore, oltre ogni limite. OL 


Ombre e Luci 155 


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| FEDE E LUCE 


Un fiume lungo 
quanto il Mediterraneo 


In pellegrinaggio dal Monviso alla Galilea 


24 


di Liliana Ghiringhelli 


er festeggiare i cinquant’an- 
p ni di Fede e Luce, la pro- 

vincia Un Fiume di Pace 
ha organizzato un pellegrinaggio 
che coinvolge tutte le sue comu- 
nità, dal Piemonte alla Galilea. Il 
percorso ricalca il fiume di pace 
che dà il nome alla provincia e che 
parte dalle sorgenti del Po, sno- 
dandosi attraverso il Mediterraneo 
fino al Giordano in Terra Santa. 


È proprio dal Monviso che lo 
scorso 29 maggio le comunità 
Camminiamo insieme (Cuneo) e 
Guida la tua guida (Mondovì) hanno 
inaugurato e benedetto la barca alla 
foce del Po, che è poi passata alla 
comunità Porte Aperte di Torino il 6 
giugno, alle comunità Cuori Aperti e 
Gelsomino di Biella il 13, arrivando 
infine a Milano il 19 giugno, nel- 
le mani delle comunità Carugate, 
Maria Immacolata e Pantigliate. Si 
riparte a settembre: il 18/19 sarà la 
volta delle comunità San Giuseppe 
della Pace, San Gaetano e Milano 
Centro, il 26 a Gratosoglio celebre- 
ranno le comunità Maria Madre 
della Chiesa, Messaggeri di Gioia di 
Cesano Boscone e la comunità di 
Rho. Le comunità del Veneto (Rag- 
gi di sole e Stella di San Lorenzo) 


Ombre e Luci 155 


vedranno la barca ad ottobre, prima 
che questa prenda il largo verso 

la Galilea, dalle comunità Ulivo di 
Galilea (di Elabun), Maryam Bawardi 
(di Shifaram) e la nascente comunità 
di Nazareth dove verrà celebrata la 
conclusione del pellegrinaggio. 

Il giorno dopo l’inizio del viag- 
gio, il 30 maggio, c'è stata una 
celebrazione al santuario di Vico- 
forte che ha visto partecipare, tra 
gli altri, la nuova reporter di Mon- 
dovì, Valentina Montanari: «Per me 
Fede e Luce è importante perché ci 
sono ragazzi come me e la comuni- 
tà mi ha aiutato tanto nei momenti 
difficili, quando ad esempio sono 
stata operata: allora mi sono senti- 
ta molto appoggiata perché i miei 
amici hanno pregato per me e sono 
venuti a trovarmi. Frequento Fede 
e Luce dal 2002 e in questi anni ho 
capito che anche io posso aiutare 
chi mi sta vicino volendogli bene e 
consolandolo nei momenti diffici- 
li. Ho capito il motto della nostra 
comunità “Guida la tua guida”». 


Quando la barca è approdata a 
Torino, anche Massimo, papà di due 
ragazzi della comunità, ha voluto rac- 
contare cosa ha significato per la sua 
famiglia conoscere Fede e Luce, poco 


La comunità Porte Aperte di Torino sulle rive del Po 


prima del confinamento: «Quando hai 
dei figli con problemi, l’aprirsi a nuove 
esperienze non è facile. Ti senti come 
in un campo minato. Che persone 
incontreremo? Cosa diremo? Come si 
comporteranno i ragazzi? Le ferite del 
passato hanno una guarigione lenta. 
Difficile dimenticare gli sguardi, le 
occhiate, le parole di chi si definisce 
“normale”, ma evidentemente tanto 
normale non è! Il timore di portare i 
bambini al parco, spiegare a genitori e 
figli che loro vogliono andare proprio 
su quell’altalena e non sull’altra anche 


Fede e Luce e Ombre e Luci 
hanno una nuova sede! 


Stiamo avviando alcune ristrutturazio- 

ni perché vorremmo che la sede fosse 

un luogo dove sia bello lavorare e stare 
insieme, dove le persone con disabilità 
possano far sentire la loro voce, dove 
raccogliere i documenti che racconta- 

no la nostra storia, dove dare la giusta 
accoglienza a chi vuole conoscerci e in- 
contrarci, dove ricevere ospiti per appro- 
fondire tematiche che ci stanno a cuore, 
dove presentare libri importanti per avvi- 
cinarsi ai temi della fragilità, dove svolge- 
re attività di tirocinio e formative. Tutte 
cose che viviamo nelle comunità di Fede 


se è libera? La mancanza di socialità, 
la burocrazia, gli enti pubblici eva- 
nescenti e le difficoltà sul posto di 
lavoro. La barca cerca di mantenere la 
rotta, ma spesso è scossa dai marosi 

e spinta verso ignote mete. Abbiamo 
avuto la fortuna di vedere un faro. Ab- 
biamo virato, puntando la prua verso 
quel bagliore lontano, al quale abbia- 
mo affidato le nostre speranze. Una 
luce che si è dimostrata carica di fede, 
calore, accoglienza, persone che ti vo- 
gliono bene. Questo è ciò che abbiamo 
trovato entrando in porto!» OL 


Ò 


e Luce o che leggiamo, 
vive, nelle pagine della 
nostra rivista Ombre e Luci. 

Abbiamo bisogno del sostegno piccolo 
e grande di ciascuno per dare vita alla 
nostra nuova sede. 

Contiamo anche sul tuo! 

Se pensi sia una buona idea aggiungi al 
rinnovo del tuo abbonamento la cifra 
che ritieni giusta per le tue possibilità. 
Oppure visita questa pagina: 
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Per ringraziarti, riceverai un nostro pic- 
colo ricordo. Grazie! OL 


Ombre e Luci 155 


25 


(2 usi 


Sentire la fine del mondo 


Il cortometraggio di Claude Lelouch 
sull'11 settembre 


di Claudio Cinus 


rrivò nelle sale |'11 set- Claude Lelouch scelse di muo- 
tembre 2002, il film ideato versi nei territori a lui cari della 


appositamente per com- storia d'amore, ambientata in- 
memorare la data fatidica di un teramente in un appartamento 
anno prima, 11 settembre 2001: newyorchese: una coppia in crisi 
composto da 11 cortometraggi discute animatamente, forse per 
della durata di 11 minuti 9 secondi l’ultima volta, proprio la mattina 


e un fotogramma, per i quali ogni di quell’11 settembre indimentica- 

regista selezionato potè lavorarein bile. Un litigio doloroso ma senza 

piena autonomia. rumore: la donna infatti è sorda. 
Giunta a New York come 


turista, si 
Py 


era innamorata della guida: un 
amore intenso e inatteso che però, 
passato ormai del tempo, la riem- 
pie di dubbi. 

Gli aerei che colpiscono le Torri 
Gemelle sono immagini che tutti 
ricordiamo; la maggior parte delle 
nostre memorie acustiche sono 
invece legate alle voci sbigottite 
dei giornalisti che commentarono 
gli eventi con interminabili diret- 
te non-stop. La protagonista tiene 
la televisione accesa, ma è fuori 
dal suo campo visivo. Mentre noi 
possiamo osservare in diretta il 
corso degli eventi, la vediamo 
ignara di tutto perché non può 
sentire; anche quando nota il tre- 
molio del tavolo non ne sospetta 
la causa. È persa nei ricordi dell’i- 
nizio della sua storia d'amore, è 
impegnata a lasciare una traccia 
scritta del perché ritiene stia ter- 
minando. 


Vent'anni fa era ancora verosi- 
mile che le notizie non raggiun- 
gessero subito chi non si trovava 
di fronte a un televisore: la donna 
soffre come se per lei il mondo 
stesse finendo, senza sospettare 
che la fine del mondo sta acca- 
dendo a pochi chilometri. 


Nel finale, dramma privato 
e collettivo si toccano, come in 
una sorta di miracolo accaduto 
proprio in quella mattinata che 
Lelouch ha voluto raccontare dal 
singolare punto di vista di chi, 
inizialmente, ne rimane esclusa 
sia col corpo sia con i sen- 


TIFO901 


Un'antologia per non dimenticare 


Un fotogramma dal cortometraggio 
di Claude Lelouch 


L'episodio di Claude Lelouch è solo uno 
degli undici che compongono 11 settem- 
bre 2001, film del 2002 il cui titolo origi- 
nale, meno esplicito ma più simbolico di 
quello italiano, rimanda proprio al mi- 
nutaggio dei singoli episodi: 11’, 09'', 01. 
L'idea di ricordare le vittime degli atten- 
tati di New York con un’opera che avesse 
al produttore francese Alain Brigand, cui 
si deve (di concerto con le produzioni dei 
Paesi coinvolti) la selezione del collettivo 
di registi. Ognuno di loro ha lavorato in 
modo indipendente e separato, restituen- 
do storie sensibilmente diverse non solo 
per gli aspetti tecnici, ma anche per le te- 
matiche e le provocazioni. Dalla denuncia 
per la discriminazione musulmana (della 
regista Mira Nair nel suo India), passando 
per la critica alle cosiddette guerre sante 
(Shohei Imamura in Giappone e Alejandro 
Gonzalez Iérritu in Messico) e agli inte- 
ressi politici (Youssef Chahine in Egitto e 
Ken Loach in Regno Unito), fino al dram- 
ma più puro e umano (il già citato Lelou- 
ch in Francia, ma anche Sean Penn negli 
USA, Samira Makhmalbaf in Iran, Danis 
Tanovic in Bosnia-Erzegovina e Amos Gi- 
tai in Israele). OL 


timenti. OL 


Ombre e Luci 155 27 


\O4! 


pesi 


} E QUESTO È NIENTE 


Lamia vita rimasta a metà 
sa oe 


i momento è iveristo persempre 


2021 


BOLLATI 
BORINGHIERI 


128 PP 
14€ 


RAGAZZA ASPY 


2021 
ERICKSON 
96 PP 
12€ 


28 Ombre e Luci 155 


LIBRI 


MICHELE CECCHINI 
E questo è niente 


Ma chi ha scelto l’ottica da cui guardare le cose? Chi ha definito 
cosa sia normale e cosa no? Se non ve lo siete mai chiesto, questo 
è il libro che fa per voi; se ve lo siete già domandato, è comunque 
il romanzo giusto. Diverte, commuove e arricchisce il racconto di 
Giulio, che vive in un borgo toscano negli anni Sessanta. Osser- 
vando la sua famiglia e la sua comunità, nota che questi cosiddetti 
normali sono sempre scontenti, arrabbiati, lamentosi; hanno sem- 
pre qualcosa che non va. La conclusione a cui giunge — lui che ha 
16 anni ma ne dimostra 7, è tetraplegico («ho due braccia e due 
gambe ma non funziona nulla») e non parla — è una: tutto con- 
siderato, «posso dire di essere l’unico della famiglia a non avere 
guai». Soprattutto perché Giulio sembra veramente il solo a voler- 
la «respirare tutta», a pieni polmoni, la vita. Il libro è ispirato a una 
storia vera (nel 1966 il padre dell’autore — allievo di Adriano Mi- 
lani, medico e fratello maggiore del famoso don Lorenzo — aprì a 
Lucca un centro per bimbi con paralisi cerebrale infantile). - G.G. 


AGNESE SPOTORNO 
Ragazza Aspy 


Come vorrei che il mondo ci capisse 


Un'adolescente dialoga con la sua ombra. Dapprima non la 
sopporta, ma poi, col tempo, impara a conviverci e a recepire, 
grazie a essa, che «nessuno di noi è uguale a un altro» e che ognu- 
no è unico a modo suo. È questo il libro che Agnese Spotorno ha 
scritto per raccontare se stessa: la famiglia, la scuola, gli scout, 
Genova, lo sport, il mare della Corsica e sì, l'ombra dello spettro 
autistico che amplifica qualsiasi emozione («Io sento più degli 
altri: è come avere orecchie giganti, ma sul cuore») e porta a «es- 
sere giudicati con una certa frequenza» da quel mondo che non 
riesce a percepire la profondità delle cose. Pagina dopo pagina, 
si ha dunque la possibilità di entrare nell’universo dell’autrice (a 
conclusione del volume, presente il Glossario di Agnese), che oggi 
frequenta le scuole superiori e ha raggiunto, nonostante le diffi- 
coltà e molto probabilmente l’incredulità di quel “mondo altro”, 
tanti risultati. Primo tra tutti — lo si accennava - aver capito che 
la compagna di viaggio che l’ombra è, equivale a possedere «un 
grande patrimonio». Diversità è ricchezza. — E.R. 


LIBRI 


PINO ROVEREDO 
I ragazzi della via Pascoli 


Pino e il fratello Rino nascono a Trieste nella casa del si- 
lenzio: mamma e papà sono sordomuti. È una casa poveris- 
sima, ma i bambini vi crescono felici. Finché una zia estra- 
nea ma benintenzionata si mette in mezzo: tolti ai genitori, 
i bambini finiscono in collegio. E così compaiono i cattivi: 
ora Pino e Rino sono due dei trecento ragazzi che vivono 

2021. «a completa disposizione delle mani e dell'umore degli as- 
BOMPIANI —sistenti», l'infanzia viene strappata via. Esistenze negate, 
128PP.. relegate ai margini, quelle nell’Istituto, ma basta che la vita 
13€ mostri uno spiraglio di umanità, di bello, perché qualcosa 
riprenda a scorrere. Inizia come una fiaba questo splendido 
libro di Pino Roveredo, un racconto che si dipana col lin- 
guaggio leggero e disarmante dell'infanzia, dove la sensibi- 
lità dei vinti ha luce propria e il dolore lancinante del piccolo 
protagonista non è rimosso, ma ha la vitalità della voglia di 
futuro. — N.B. 


RICCARDO SOLLINI 
Frammenti di solitudine 
Storie e pensieri di figli della Comunità di Capodarco 


Riccardo Sollini è figlio di una delle giovani famiglie che, alla 
fine degli anni Sessanta, si univano alla «visione di una società 
giusta, coerente... ugualitaria» ispirata da don Franco Monterub- 
bianesi con la Comunità di Capodarco. E vi entrava «non perché 
bisognoso d'aiuto, ma semplicemente perché immerso in un 
mondo nel quale i concetti di famiglia, genitori e di rapporto con 
i pari erano di gran lunga messi in discussione, o forse, semplice- 

2020 mente, raggiungevano livelli “altri”». Nella restituzione che Solli- 
PENDAGRON — ni opera del suo e dei contributi di altri fratelli di vita, emergono le 
288 PP... molte difficoltà inizialmente sottovalutate nella vita comunitaria, 
12€ comeil paradosso della solitudine o del peso della diversità. Oltre 
la critica o l'elogio, l’autore traccia un percorso di consapevolezza, 
riconoscendo comunque la comunità come «dolce, severa e com- 
prensiva insegnante» capace di aver impresso un’<eredità inesti- 
mabile», fatta di gesti che si apprendono solo vivendoli. — C.T. 


Ombre e Luci 155 29 


\ JE 


30 


Perché il mare 
non è sempre lo stesso? 


di Benedetta Mattei 


mmmm... non è che è pro- 

prio tutto come voglio io. 

Anzi! Qui al mare, dove sto 
in vacanza come ogni anno, ci sono 
tante cose diverse che a me proprio 
non piacciono. E così mi arrabbio e 
faccio di testa mia, comemi dice la 
capoccia mia. Però non mi va bene. 
No no, per niente! Mi diverto molto di 
meno. Ma non ci posso fare proprio un 
bel niente. lo pensavo che era come 
sempre ma già l’anno scorso non era 
più così. Ma questa volta è pure molto 
peggio. lo spero tanto che venga pre- 
sto la mia amica Sara a trovarmi così 
almeno sto meglio e posso fare quello 
che voglio fare. La cosa che più mi pia- 
ceè andare in giro la serae in pizzeria. 
Mi piace cambiare sempre la pizzeria 
anche se poi mi piace andare dove co- 
nosco bene le cameriere, Così scher- 
ziamo e ridiamo. Però io al parco-gio- 
chi non vi vado più perché ormai sono 
grande. Non sono più salita neppure 
sull’altalena per questo. Gioco poco 
pure a carte perché mi diverto poco. 
Gioco solo qualche volta. Invece prima 
andavo sempre al parco-giochi, stavo 
tantissimo sull'altalena e giocavo a 


Ombre e Luci 155 


carte. Finora non ho neppure giocato 
sulla spiaggia a calcio e a racchettoni. 
Che faccio tutto il giorno al mare? 
Vado sotto gli ombrelloni degli altri a 
chiacchierare. Faccio abbastanza spes- 
so i compiti così non perdo l'abitudine 
a farli. Non lavoro tanto però poco 
quasi ogni giorno. Il prossimo anno 
voglio avere una pagella bella come 
quest’anno e per questo devo studiare. 
La cosa più brutta che mi è successa 
qui al mare finora è stato l’incontro 
con un cane che mi ha rincorsa e poi 
mi stava per saltare addosso quando 
ho sbattuto la porta di casa. Mi sono 
messa a urlare e si sono spaventati 
tutti. lo stavo rientrando a casa da sola 
quando lui si è messo a correre. Meno 
male che ero davanti alla porta di casa, 
sono entrata e ho sbattuto la porta. 
Maora ho paurissima a uscire di casa 
da sola. Allora mi faccio accompagna- 
re per il primo pezzo, fino a lungoma- 
re e poi vado. Ma da sola io non esco 
perché il cane abita proprio accanto 

a me. Il padrone ha detto che lo terrà 
legato ma io ho paura lo stesso e non 
ci credo. OL 


Visita a Roccamonfina 


di Giovanni Grossi 


| giorno della partenza si 

avvicina, quasi non ci speravo 

più, io in certi casi e momenti 
sono sempre disponibile. Però devo 
saperlo prima così mi organizzo 
con i giorni da prendere come ferie, 
io ho saputo tutto per telefono sul 
da farsi, cosa portare per tre giorni, 
magliette pantaloni calze ecc... lo 
sono contento di andare in mac- 
china e percorrere l'autostrada che 
porta lontano verso il posto, in 
realtà c'ero già stato l’anno scorso, 
e riconosco il luogo, la chiesa e le 
stanze che sono nel convento con 
delle persone che ci vivono, e fanno 
vita monastica. lo sono con Fabio, 
altre stanze altri ragazzi, durante il 


giorno c'è un appuntamento diver- 
so, la piscina, la pizzeria ela sera 
quando facciamo il karaoke. È per 
me una bella cosa stare in un posto 
come questo, con il bosco e poi si 

fa la passeggiata per il sentiero, io 
sono stato di compagnia, con chi 
conosco della mia comunità come 
Daniela, poi ho saputo i nomi delle 
persone che sono state con noi, Lui- 
sa, Manlio, Stefano, Roberto e Maria 
Agnese — quando è arrivato l’ultimo 
giorno ho sentito la messa, ho man- 
giato l’ostia e poi riposo, quando è 
l'ora di ritornare c'è un pò di tri- 
stezza, ma c'è la felicità nel tornare 
a Roma non per lavorare che lo si fa 
ma per il fine settimana. OL 


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MEX] IT02 5076 0103 2000 0005 5090 005 


regni la giustizia 
a me sembra c 
solo dai nosti 
dalle nostre. 

e dal nostro c 
far regnare alm 
una microgiusti 


(Mariangela Bertolini, Lil Lu! 


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